GIOIA
GIOIA
Nuovo allestimento
drammaturgia e regia Livia Gionfrida
con Livia Gionfrida
e con Daniele Savarino
scene e animazioni Alice Mangano
dipinti Nicola Console
musiche e suoni Andrea Franchi
assistente alla regia Giulia Aiazzi
direzione fotografia animazioni Marianne Boutrit
Produzione Metropopolare
un progetto realizzato con la collaborazione della Fondazione Teatro Metastasio di Prato
Premio Radicondoli per il teatro – Valter Ferrara 2022
Gioia è il modo in cui Maria chiama suo figlio, nonostante egli sia motivo per lei di grande sofferenza. È una storia d’amore senza tempo, quella tra una madre e un figlio difficile. Un ragazzo “testa di legno” che decide giovanissimo di intraprendere la cattiva strada e alla fine di lanciarsi in una Grande Impresa che lo condurrà tra le braccia di un ingiusto e paradossale destino. In un ribaltamento finale di personaggi buoni e cattivi, lui “tutto sbagliato” passa da colpevole a vittima.È una storia che ha per protagonisti gli ultimi. I calpestati.
La rappresentazione, il racconto, sono per la madre l’unico strumento per cercare di capire, per ricostruire i fatti e farsi una ragione della perdita e dell’ingiustizia subita.
In scena dialetto siciliano e animazioni video si alimentano di suggestioni letterarie e simboli provenienti dall’immaginario religioso, fatti di cronaca e interviste realizzate in carcere. Ne viene fuori una singolare drammaturgia originale che parla d’amore universale, del mistero della vita e della morte e della sua rappresentazione.
Note di regia
Da qualche anno ho nella testa l’idea di fare uno spettacolo che parli di morti ammazzati per mano dello Stato. Non è un argomento facile per me. Lavoro in carcere, dove da molto tempo conduco una singolare esperienza di ricerca teatrale. Ho conosciuto in questi anni molti detenuti e conosco il duro impegno di chi, agenti e operatori, opera all’interno degli istituti di pena, ma per mia stessa natura non sono interessata a tracciare un confine netto tra buoni e cattivi e amo semmai interrogarmi intorno alla natura umana. Chissà, forse è proprio per questo che faccio teatro, ed è ancora per questa ragione che negli ultimi anni ho scelto come residenza artistica ideale, un istituto penitenziario.
Non ho mai pensato né prodotto spettacoli del genere che viene definito ‘sociale’, né tantomeno mi sono mai occupata del cosiddetto genere ‘civile’, anche se conosco e stimo alcune importanti esperienze che si definiscono così.
Ci sono però alcune storie che sento maturare dentro di me e che ho bisogno di trasformare in domande, in immagini e carne.
Le storie di Stefano Cucchi e di altri che come lui hanno attraversato insieme alle loro famiglie un terribile calvario, le vicende e i crimini commessi lungo la cattiva strada che alcuni detenuti mi hanno raccontato in questi anni, hanno acceso in me la necessità di provare a scrivere questo monologo. Che non vuole essere ‘civile’ ma che spero diventi, semplicemente ‘teatro’.
Il lavoro qui proposto fa parte di un fecondo progetto che ha dato vita a studi autonomi e molto distanti tra loro. Gioia ne rappresenta lo sviluppo, il punto estremo senza ritorno, in cui nascita e morte si incrociano e perdono i contorni.
INEDITO SCALDATI
INEDITO SCALDATI
testi di Franco Scaldati
drammaturgia e regia Livia Gionfrida
con Melino Imparato, Paride Cicirello, Oriana Martucci, Daniele Savarino
scene e costumi Emanuela Dall’Aglio
consulenza per il suono Serena Ganci
assistente alla regia Giulia Aiazzi
produzione Teatro Biondo Palermo
in collaborazione con Teatro Metropopolare
Candidato “Maschere del Teatro 2022” per la sezione Novità Italiana
Ecco, siamo nel cuore oscuro della notte, zitti…
(Libro Notturno, Franco Scaldati)
Inedito Scaldati è la seconda tappa di un percorso di ricerca su Franco Scaldati e in particolare intorno alla radice shakespeariana fortemente presente nell’opera del poeta siciliano. In un quartiere fantasma, dentro a un condominio ridotto ormai a rudere, abita un Poeta, l’ultimo. Questi aspetta di raggiungere la luna, unico miraggio di pace, e proietta i suoi sogni sugli abitanti del palazzo.
In scena quattro attori per un esperimento drammaturgico che in un continuo rimando tra Scaldati e Shakespeare evoca la storia di Macbeth, il re assassino che cede alla tentazione del Potere e all’istinto della Violenza.
La guerra, la pandemia, il tormento per le conseguenze delle proprie azioni, la perdita della Parola come strumento che aiuta gli esseri umani a comprendersi e a decifrare se stessi e il mondo, sono i temi di questo spettacolo. Prendono corpo nella mente del Poeta le ombre degli abitanti del condominio: la lavascale, il giovane disabile, il muto, il topo, i fantasmi del condominio diventano così personaggi in cerca d’autore.
Note di regia
In una fine del mondo dai toni tragicomici, le certezze scompaiono, le parole sono svuotate di senso e persino i muri possono apparire e scomparire come in un sogno. «Finìu a pandemia?» si domanda l’anziano sardonicamente. La morte è presenza costante nell’opera di questo grande poeta, per nulla tragica. Come in Sicilia, come nelle opere di Scaldati, la morte è compagna di vita, è amica di bevute e sogni, e porta bei doni e dolci ai bambini.
Avvicinare lo spettatore a Scaldati per me vuol dire tentare il rito della poesia, quella che sembra trovare sempre meno spazio nell’affanno del nostro quotidiano e che può costituire una vera e propria cura della persona. Tornare dunque al teatro, al rito collettivo che comincia con il silenzio e il buio, da cui far nascere la parola poetica e assieme ad essa, l’immagine pronta a scatenare una lettura personale nello spettatore.
Rassegna Stampa
Giulio Baffi su Rumorscena (Recensione)
Gigi Giacobbe su Sipario (Recensione)
Viviana Raciti su Teatro e Critica (Recensione)
Mary Ferrara su Teatro.it (Recensione)
Paolo Randazzo su Dramma.it (Recensione)
Servizio Tg3 Chi è di Scena (Intervista) / dal minuto 3,30
Pierluigi Pietricola su Sipario (Intervista)
“Cartellone”, Radio24 (Intervista) / dal minuto 9,50
“Radio3 Suite”, Radio3 (Intervista) / dal minuto 7,27
Francesca Taormina su Repubblica (Intervista)
Guido Valdini su Repubblica (Recensione)
Giuseppe Rippa su Agenzia Radicale (Intervista)
Antonia Giusino su Articolo 21 (Recensione)
PINOCCHIO
PINOCCHIO
di Franco Scaldati
adattamento, regia, scene e costumi Livia Gionfrida
con Aurora Quattrocchi, Alessandra Fazzino, Manuela Ventura, Cosimo Coltraro, Serena Barone, Domenico Ciaramitaro
assistente alla regia Giulia Aiazzi
luci Gaetano La Mela
audio Giuseppe Alì
produzione Teatro Stabile di Catania in collaborazione con Teatro Metropopolare
assistente scenografo e costumista Vincenzo La Mendola – direttore di scena Alessandro Mangano – attrezzista Silvestro Ruggeri – capo macchinista costruttore Santo Floresta – primo macchinista Sebastiano Grigoli – aiuto macchinista Salvatore Melarosa – collaboratore alla costruzione Vincenzo Auteri – elettricisti Salvo Costa, Gaetano La Mela – capo fonico Giuseppe Alì – fonici Luigi Leone, Salvo Arnò – sarta Claudia Mollica – scenografo realizzatore Elio Di Franco – scene e costumi realizzati dal laboratorio di scenografia del Teatro Stabile di Catania
direttore tecnico e degli allestimenti Carmelo Marchese
comunicazione e ufficio stampa Matteo Durante
ufficio stampa nazionale Nicola Conticello
foto di scena Antonio Parrinello
Candidato “Maschere Teatro 2022” – Sezione Scenografa
“La storia di Pinocchio è una storia di sevizie e di amore”, così Giorgio Manganelli sul mitico burattino amato e conosciuto in tutto il globo. Il nostro Pinocchio abita nel mondo di Franco Scaldati, siamo in una Sicilia che si fa metafora esistenziale in cui ogni pulsione umana, ogni sua inclinazione, sono estremizzate e portate al parossismo.
Il Gran Teatro del Mondo sta per cominciare, i fantasmi sono tutti in scena. Protagonista la compagnia di guitti di Mangiafoco che, come sembra suggerirci la voce del poeta alla fine dello spettacolo, forse è composta da “spirdhi cummirianti”, spiriti che ad ogni replica poi svaniscono nell’aria. Questi giocano a raccontare sempre la stessa storia, quella del mitico burattino collodiano, incarnando e scambiandosi ruoli e colori, in un susseguirsi di registri e tipi che ruotano in scena come in un grande carillon luminoso, raccontandoci la fame, i sogni, la morte, la richiesta di aiuto che l’essere umano – caverna di sentimenti – sembra porre alla Natura.
I personaggi della storia vengono dunque evocati, appaiono e svaniscono in un dialogo tra buio e luce che si fa esso stesso drammaturgia. Pinocchio scalcia e strepita, si ferisce e combatte, Pinocchio crede sempre a tutto e si stupisce continuamente osservando il mondo. Accanto a lui appare la Fata Turchina, tra santità e natura, una forza sovrannaturale che rimanda al potere misterioso delle tante figure femminili che Scaldati ha dipinto nelle sue opere. E poi il grillo parlante attanagliato dal dubbio, Geppetto pazzo di entusiasmo, la Volpe che ha una fame insaziabile, Mangiafoco che brucia d’amore, il pescecane che si sente tanto solo nelle profondità degli abissi. Lucignolo pronto a tutto per raggiungere uno straordinario paese dei balocchi tutto pieno di cartone.
La storia immortale del mitico Pinocchio è qui riscritta e diretta dalla dramaturg e regista siciliana Livia Gionfrida, in un dialogo intimo con la lingua e il mondo del Maestro Scaldati.
NOTE DI REGIA
Mi avvicino in punta dei piedi alle parole di un grande maestro del teatro italiano.
Pinocchio di Franco Scaldati, opera inedita ed incompiuta, è un concerto di suoni e colori che ricalca la mitica storia del burattino collodiano, per trasportarla in una Sicilia cruda e tragicomica, un mondo fiabesco dove uomini, fate, pupi e animali hanno lo stesso diritto di parola e sono ugualmente impegnati nella violenta lotta alla sopravvivenza.
È una storia di poveri, difettati, emarginati, di innocenti. Qui la voce si fa carne e si moltiplica, scivolando in uno spazio universale in cui il suono si fa presenza. Umorismo e tragedia si intrecciano, come in tutto il percorso di questo grande poeta siciliano, cantore da sempre degli ultimi.
Il ragazzo testa di legno ed io ci siamo già incontrati in passato. Ora, accompagnata dalla lingua straordinaria di Scaldati, lo intravedo mentre mi fa un gesto osceno e si ributta in mare per vivere da pirata, assieme al suo amato padre Geppetto e al suo amico Lucignolo. Libero.
Rassegna stampa
Paolo Randazzo su Gli Stati Generali
LA REGINA DELLA NEVE
LA REGINA DELLA NEVE
regia e drammaturgia Livia Gionfrida
con Giulia Aiazzi
scene e costumi Emanuela Dall’Aglio
spazio sonoro Alessandro Di Fraia
organizzazione Francesca Nunziati
produzione Teatro Metropopolare
età dai 5 anni
Lo spettacolo è il libero riadattamento dalla celebre storia di Hans Christian Andersen.
Un progetto di ricerca teatrale che partendo dal mondo della fiaba vuole mettere in guardia le nuove generazioni dai rischi in cui ci si può imbattere nel bosco digitale. Il piccolo Kai ha seguito il richiamo del gioco della Regina della Neve e il suo cuore si è congelato. Ora il bambino si trova nel castello di ghiaccio e non ricorda più niente. Ma la sua amica Gerda non si rassegna e per salvarlo è disposta ad affrontare mille avventure: incontrerà corvi parlanti, briganti terribili, bidoni mangia-memoria e fiori magici… e voi siete pronti al viaggio verso il regno del ghiaccio?
Una storia di amicizia e coraggio, proiettata tra fiaba e mondo virtuale. “Quanto tempo ho perduto? Il problema è che certi giochi del bosco digitale sono proprio appiccicosi, non vogliono mai lasciarti andare oh!” Solo l’amicizia di Gerda strapperà Kai all’oblio in cui era caduto troppo a lungo davanti allo schermo e i due piccoli protagonisti saranno pronti per l’avventura della Vita.
NOTE DI REGIA
La Regina della Neve è una storia molto articolata e piena di strade percorribili. Nel rileggere questo grande classico, ho iniziato ad avvicinare l’attraente figura della Regina a uno dei protagonisti di quei giochi virtuali che spopolano tra i più giovani (e non solo!). Non voglio demonizzare in alcun modo l’uso della tecnologia, come sempre il problema non sta nello strumento ma nell’uso consapevole che si fa di esso. Così ho lanciato ai miei compagni la proposta di lavorare sulla metafora del bosco digitale, immaginando che i nostri piccoli protagonisti debbano affrontare i pericoli di un mondo, quello virtuale, in cui si rischia di perdercisi dentro, isolandosi da amici e famiglia. Quante ore passiamo davanti ad uno schermo? E quante ne passano i nostri bambini? E che ne è del patto di amicizia tra esseri umani e tra di essi e la Natura? In scena una clownesca narratrice, come una salvifica sciamana del tempo futuro, ci racconta di un mondo in cui questo patto è stato rotto. Solo la Memoria e la solidarietà tra esseri umani e tra essi e la Natura, possono risvegliare i cuori e svelare il mondo nella sua reale bellezza.
IT’S JUST A GAME
IT’S JUST A GAME
regia, spazio scenico Livia Gionfrida
con Robert Da Ponte
assistente alla regia Giulia Aiazzi
organizzazione Francesca Nunziati
produzione Teatro Metropopolare
Progetto Teatro in Carcere 2021 – Regione Toscana
Dal Dicembre 2019 Livia Gionfrida porta avanti con il suo collettivo Metropopolare un’indagine su capitalismo e sul ruolo che il denaro ha nella nostra società e nelle nostre vite.
Tutti noi pensiamo di essere motivati da alti ideali come amore, patriottismo, verità e solidarietà, ma in una società capitalista, l’unico valore davvero accettato da tutti sembra essere quello dei soldi. Istruzione, politica, lavoro, giustizia, razzismo sono influenzati e dipendono dal mercato e il denaro diviene il minimo comune denominatore a cui uomini e donne devono aderire per sopravvivere. Il sistema capitalista per funzionare ha bisogno di vincitori e perdenti, proprio come una partita di Monopoli: quello che conta è il prezzo e talvolta sembra non esistere nessun valore morale, etico o umano.
Oggi, nel bel mezzo della crisi pandemica legata alla diffusione del virus Covid-19, la questione è soprattutto economica e ognuno di noi sta vivendo la propria personale lotta per la sopravvivenza. Un attore storico del collettivo, ex detenuto ed ex bancario, prova a fare il punto sulla situazione, mescolando teorie economiche e legge di Murphy, con l’aiuto di Shakespeare, The Blues Brothers e l’ex presidente Trump. Una riflessione tragicomica sul mondo globale.
EPPURE ERA BELLA LA SERA
EPPURE ERA BELLA LA SERA
drammaturgia e regia Livia Gionfrida
con Livia Gionfrida e Giulia Aiazzi
fisarmonica e voce Simone Faraoni
produzione Teatro Metropopolare
con il patrocinio della Fondazione Museo della Deportazione e Resistenza di Prato
Reading musicale che dà voce alle vicende individuali delle donne della Resistenza Italiana e al valore sociale e politico che ebbero in quel particolare frangente storico.
Si tratta di storie eterogenee. Attraverso motivazioni ideali comuni le donne compiono scelte coraggiose ed orgogliose, mai scontate o rinnegate. Furono staffette, fattorine, infermiere, vivandaie e combattenti. Trasportavano esplosivi nella borsa della spesa, animavano gli scioperi nelle fabbriche e imbracciavano le armi. All’inizio è anche la guerra privata di donne che smettono improvvisamente di sentirsi solo madri o figlie, che decidono di lottare non solo contro l’occupante tedesco o i fascisti di Salò, ma per liberare se stesse dai pregiudizi morali e dalle discriminazioni imposte dalla cultura maschile. Nell’emergenza della guerra e nella speranza di un mondo più giusto, nella fede in una causa e nella coscienza politica, le donne non hanno esitato a rischiare e perdere la propria vita, costituendo non un appoggio assistenziale ma la spina dorsale della Resistenza. Due attrici disegnano un percorso di memorie, storie e paesaggi, accompagnate dalla fisarmonica del Maestro Simone Faraoni nell’esecuzione di canti e musiche della tradizione partigiana.
Lo spettacolo ha ricevuto il patrocinio della Fondazione Museo della Deportazione e Resistenza di Prato.
TALKING CRAP
TALKING CRAP
regia Livia Gionfrida
con Robert da Ponte
assistente alla regia Giulia Aiazzi
scene e costumi Alice Mangano
tecnico di compagnia Michele Percopo
direzione tecnica Marco Serafino Cecchi
assistente al progetto Paolo Gruni
produzione Teatro Metropopolare
con il sostegno di Regione Toscana Progetto Teatro in carcere
in collaborazione con Casa Circondariale La Dogaia di Prato
Il risultato di questo lavoro è una sorta di diario intimo, che prende le mosse dal vissuto raccolto in carcere e dall’opera del grande autore irlandese per poi diventare metafora e riflessione tragicomica sulla fragilità dell’uomo in contrapposizione alla macchina e sulla parola che qui diviene oggetto da graffiare, contenuto da sbeffeggiare, in un rapporto sofferto e pieno di nostalgia per un passato lontano in cui in essa si poteva ancora riporre fiducia. Qui la parola delude e ferisce, e viene per questo martoriata e smembrata, ridotta e declassata a puro suono, a lamento infantile; qui si parla di “fesserie”.
Note di Regia
Quest’anno la mia avventura con Metropopolare all’interno del carcere maschile di Prato compie 10 anni di attività e inevitabilmente è tempo di bilanci e di ricordi. Mi guardo indietro scoprendo quasi per incantamento quanta strada ho percorso insieme ai miei formidabili compagni di viaggio. Festeggiamo costruendo per la prima volta un monologo, che sia pieno di ricordi, i nostri, quelli miei, quelli dell’attore-autore che lo interpreterà, quelli dei nostri compagni. Ad accompagnarci ed illuminarci in questa impresa, un autore a noi assai caro, Samuel Beckett, la cui lettura sarà stimolo e domanda continua, proprio come solo il teatro e la buona letteratura sanno fare.
Livia Gionfrida
GIOIA – via crucis per simulacri
GIOIA
via crucis per simulacri
drammaturgia e regia Livia Gionfrida
scene e animazioni Alice Mangano
dipinti Nicola Console
luci Roberto Innocenti
musiche e suoni Andrea Franchi
assistente alla regia Giulia Aiazzi
con Livia Gionfrida
direttore dell’allestimento Roberto Innocenti
direttore di scena Marco Serafino Cecchi
capo elettricista Michele Percopo
direzione fotografia animazioni Marianne Boutrit
montaggio video Roberto Losurdo
organizzazione Rebecca Polidori
Produzione Fondazione Teatro Metastasio di Prato
debutto
27 marzo 2018
Teatro Fabbrichino, Prato
Gioia è il modo in cui Maria chiama suo figlio, nonostante egli sia motivo per lei di grande sofferenza. È una storia d’amore senza tempo, quella tra una madre e un figlio difficile. Un ragazzo “testa di legno” che decide giovanissimo di intraprendere la cattiva strada e alla fine di lanciarsi in una Grande Impresa che lo condurrà tra le braccia di un ingiusto e paradossale destino. In un ribaltamento finale di personaggi buoni e cattivi, lui “tutto sbagliato” passa da colpevole a vittima.È una storia che ha per protagonisti gli ultimi. I calpestati.
La rappresentazione, il racconto, sono per la madre l’unico strumento per cercare di capire, per ricostruire i fatti e farsi una ragione della perdita e dell’ingiustizia subita.
In scena dialetto siciliano e animazioni video si alimentano di suggestioni letterarie e simboli provenienti dall’immaginario religioso, fatti di cronaca e interviste realizzate in carcere. Ne viene fuori una singolare drammaturgia originale che parla d’amore universale, del mistero della vita e della morte e della sua rappresentazione.
Note di regia
Da qualche anno ho nella testa l’idea di fare uno spettacolo che parli di morti ammazzati per mano dello Stato. Non è un argomento facile per me. Lavoro in carcere, dove da molto tempo conduco una singolare esperienza di ricerca teatrale. Ho conosciuto in questi anni molti detenuti e conosco il duro impegno di chi, agenti e operatori, opera all’interno degli istituti di pena, ma per mia stessa natura non sono interessata a tracciare un confine netto tra buoni e cattivi e amo semmai interrogarmi intorno alla natura umana. Chissà, forse è proprio per questo che faccio teatro, ed è ancora per questa ragione che negli ultimi anni ho scelto come residenza artistica ideale, un istituto penitenziario.
Non ho mai pensato né prodotto spettacoli del genere che viene definito ‘sociale’, né tantomeno mi sono mai occupata del cosiddetto genere ‘civile’, anche se conosco e stimo alcune importanti esperienze che si definiscono così.
Ci sono però alcune storie che sento maturare dentro di me e che ho bisogno di trasformare in domande, in immagini e carne.
Le storie di Stefano Cucchi e di altri che come lui hanno attraversato insieme alle loro famiglie un terribile calvario, le vicende e i crimini commessi lungo la cattiva strada che alcuni detenuti mi hanno raccontato in questi anni, hanno acceso in me la necessità di provare a scrivere questo monologo. Che non vuole essere ‘civile’ ma che spero diventi, semplicemente ‘teatro’.
Il lavoro qui proposto fa parte di un fecondo progetto che ha dato vita a studi autonomi e molto distanti tra loro. Gioia ne rappresenta lo sviluppo, il punto estremo senza ritorno, in cui nascita e morte si incrociano e perdono i contorni.
FORMIDABLE
regia Livia Gionfrida
collaborazione Giulia Cavallini, Véronique Nah, Sara Nesti, Alessio Targioni
coordinamento Giulia Aiazzi
assistente volontaria Francesca Santangelo
assistente stagista Beatrice Matteoni
con Prao Salif Ouattara, Mamadou Djouma Bah, Mamadou Kifa Diallo, Dabi Sissoko, Juliet Edeki, Ibrahima Barry, Moussa Aboubacar, Martina Innocenti, Serena Di Mauro
organizzazione Rebecca Polidori e Francesca Mei
direzione tecnica Marco Serafino Cecchi e Michele Percopo
Evento realizzato nell’ambito del Progetto teatrale vincitore del bando MigrArti Spettacolo 2018
Con il sostegno del Comune di Prato.
Formidable, un sorriso contro l’odio / TG Toscana
STUDIO PER UN FINALE
STUDIO PER UN FINALE
regia Livia Gionfrida
assistente alla regia Giulia Aiazzi
con Robert da Ponte, Ayoub El Mounim, Rodrigo Romagnoli, Sofien Ghozlan
scenografie Alice Mangano
progetto grafico Laura Meffe
organizzazione Rebecca Polidori
produzione Teatro Metropopolare
in collaborazione con il Teatro Metastasio di Prato
con il sostegno di Regione Toscana e Comune di Prato
Studio per un finale è frutto di un lungo lavoro di studio e di confronto che Teatro Metropopolare sta conducendo sui temi della prigionia e della caduta. Attorno a queste parole chiave si sta concentrando il lavoro di ricerca teatrale del collettivo, con particolare attenzione ad alcuni autori del Novecento legati alla corrente definita dagli storici Teatro dell’Assurdo: Eugène Ionesco, Samuel Beckett, il primo Harold Pinter.Lo studio e l’analisi delle opere di Beckett, in particolare Finale di partita, vanno a costituire il nucleo centrale del percorso artistico. Il risultato di questo lavoro, scaturito dall’incontro delle biografie degli interpreti con le tematiche affrontate nei testi dell’autore irlandese, è una tragica riflessione sull’uomo e sulla morte.
Note di regia
L’anno prossimo faremo i nostri 10 anni di lavoro dentro il carcere maschile di Prato. Potrebbe essere considerato un traguardo viste le infinite e paradossali difficoltà che abbiamo affrontato in questi lunghi e produttivi anni. Avevamo bisogno di un autore che parlasse una lingua radicale, asciutta, chiara per tutti. Un autore che sapesse raccontare il limite fisico e mentale, imposto o scelto non ha importanza. Beckett sa parlare di barriere fisiche e psicologiche come nessun’altro. Nella sua scrittura, in quella cattiveria piena di vita, ci ho trovato tutto il sapore di questi 10 anni passati “dentro” quasi quotidianamente. Egli non racconta della burocrazia, della politica o delle incombenze superflue del vivere quotidiano, ma, più radicalmente, si concentra sull’esserci, sulle funzioni essenziali dell’essere in vita. Fare la pipì, mangiare, sognare, in una lotta costante carica di disperata vitalità, coltivando rapporti impari, in cui c’è sempre qualcuno che ha più potere di te, in una scala gerarchica che si allunga all’infinito, fino al cielo , abitato forse da un “Padre mio” , da una Natura che ci governa senza possibilità di appello. “Non c’è niente di più comico dell’infelicità”. Questa battuta ricorre spesso tra le stanze del carcere che ho abitato in questi anni. Ridere sopra un foglio in cui si notifica la tua carcerazione. Solo il teatro può fare questo. Non c’è niente che possa riabilitare quanto questo.
Livia Gionfrida
PROTEGGIMI
Proteggimi
drammaturgia e regia Livia Gionfrida
scene Alice Mangano
assistente alla regia Giulia Aiazzi
direttore di scena Marco Serafino Cecchi
con Robert Da Ponte, Rodrigo Romagnoli, Ayoub El Mounim, Rossana Gay, Livia Gionfrida,
Sofien Gozlan, Wu Kejan, Mingoro Doumbia, Luca Florin
progetto grafico Laura Meffe
organizzazione Rebecca Polidori
tecnico Michele Percopo
produzione Teatro Metropopolare in collaborazione con Teatro Metastasio di Prato
con il sostegno di Regione Toscana
anteprima
giovedì 12 maggio 2016, ore 20.30
Casa Circondariale La Dogaia Prato
Credo che uno dei compiti del teatro consista proprio nel cercare di vivere insieme al pubblico ciò che nel nostro quotidiano non abbiamo lo spazio o il coraggio di affrontare. In Proteggimi abbiamo tentato di “essere”, con tutte le nostre bassezze, i fallimenti, i desideri repressi, il nostro feroce egoismo. Non volevo mettere in scena un dramma di Tennessee Williams, eppure ero affascinata dal suo mondo, dal bisogno d’amore che sembra percorrere tutta la sua opera. Ero attratta dai personaggi crudi di Streetcar, volevo avvicinarli, incontrarli, poterci parlare. E così avrei voluto, come spesso mi capita, fare due chiacchiere anche con l’autore. Ho iniziato allora a pensare uno spettacolo in cui in scena il pubblico potesse confrontarsi proprio con il drammaturgo, parlarci in intimità, per poi farsi accompagnare come da un Virgilio americano, all’interno del suo inferno, tra le sue opere, in una streetlife che trasuda sudore e cemento, dove violenza e amore sembrano intrecciarsi tragicamente. Ci sono Blanche, Stanley, Stella ma c’è anche qualcosa di Willie, la ragazzina perduta che in This propriety is condemned cammina sui binari del treno, sotto un cielo bianco come un foglio di carta pulita e qualche traccia resta anche della sorella ritratta in Portrait of a young girl in glass. Ne è nato uno spettacolo che parla di desiderio, di relazioni e di perdita. La perdita della persona cara, l’incapacità di dimostrare il proprio amore, la goffaggine e la cecità di chi tenta, attraverso la violenza, di cambiare le sorti di una partita persa. Il poker si fa metafora impietosa della nostra esistenza. Le carte sono distribuite e nessuno può veramente sottrarsi al gioco. I nostri personaggi sono lanciati all’impazzata, dentro una macchina che è quella del destino, che è vita ed è dunque morte inevitabile, una macchina che corre veloce e che forse non sappiamo nemmeno guidare.
Livia Gionfrida
LINGUAINCONTRO
LinguaIncontro
regia e drammaturgia Livia Gionfrida
musiche originali Andrea Franchi
con Lucia Sargenti, Giulia Aiazzi, Ayoub El Mounim, Rodrigo Romagnoli, Mingoro Doumbia
Lingua Incontro è un laboratorio-spettacolo. Il pubblico è invitato ad entrare dentro il processo di lavoro, partecipando attraverso piccole azioni mirate all’ascolto della parola poetica.
ROSASPINA
ROSASPINA
fiaba tessile per un’attrice ed un cantore
drammaturgia e regia Livia Gionfrida
con Giulia Aiazzi e Matteo Bonechi
musiche originali eseguite dal vivo Matteo Bonechi
organizzazione Rebecca Polidori
produzione Teatro Metropopolare
rielaborata da vari autori, sotto vari titoli e più famosa nella sua versione disneyana intitolata La bella
Addormentata nel Bosco.
Recuperando le svariate versioni che sempre accompagnano la storia delle fiabe di tradizione, ci siamo
soffermati su un aspetto che ci ha da subito affascinati, il legame tra la narrazione della vita della bella
principessa e il telaio, da sempre simbolo dello scorrere del tempo.
La nostra ricerca ha tratto linfa vitale anche dagli arnesi e dai racconti del recente passato pratese,
parliamo dunque del boom dell’industria tessile degli anni del secondo dopoguerra, anni in cui Prato è
stata protagonista di uno straordinario sviluppo economico grazie alla nascita di numerose imprese a
conduzione familiare; chi ha vissuto la propria infanzia in quegli anni racconta di un mondo
completamente immerso in giochi fatti di oggetti e spazi legati al tessile.
Partendo da questo non piccolo spunto, abbiamo condotto una ricerca musicale e bibliografica da cui è
nato uno spettacolo pensato per adulti e bambini.
In scena un’attrice e un cantore raccontano la fiaba della bella Rosaspina, attraverso canzoni e racconti.
IVI CI STA LO FEGATO
IVI CI STA LO FEGATO
Racconto per simulacri e organi interni
Spettacolo vincitore del bando Giovani in scena, Fondazione Toscana Spettacolo – Teatro Metastasio di Prato
regia Livia Gionfrida
scene e simulacri Alice Mangano e Nicola Console
assistenti alla regia Ilaria Cristini, Alice Mangano, Marco Serafino Cecchi
musiche originali Andrea Franchi
con Serena Alessandra Altavilla, Alessia Brodo, Nicola Console, Livia Gionfrida, Fabio Midolo
Primo Studio
5 giugno 2013
Teatro Magnolfi Nuovo, Prato
Secondo Studio
4 aprile 2014
Teatro dei Rassicurati, Montecarlo (LU)
H2OTELLO
H2OTELLO
regia Livia Gionfrida
scene Alice Mangano e Nicola Console
collaborazione artistica Ilaria Cristini e Marco Serafino Cecchi
collaborazione al progetto Alessia Brodo e Giulia Aiazzi
produzione Teatro Metropopolare in collaborazione con Teatro Metastasio di Prato
con il sostegno di Regione Toscana e Comune di Prato
debutto
23 maggio 2014
Casa Circondariale di Prato La Dogaia
H2Otello, terzo lavoro della trilogia shakespeariana che il collettivo Metropopolare ha in questi anni affrontato, è un lavoro di ricerca attorno all’opera del drammaturgo inglese e in particolare uno studio che affonda le sue radici sul tema dello scontro tra codici culturali e impulsi naturali dell’essere umano. Temi come gelosia, femminicidio, solitudine, razzismo sono stati affrontati insieme ai detenuti della C.C. La Dogaia di Prato, partendo proprio dall’idea che l’incontro tra esseri umani, anche se innamorati, viene spesso complicato dalle convenzioni e dalle norme sociali che portano a seguire schemi “prestabiliti” di valori, che, se indossati senza condividerli, non aprono al riconoscimento e all’ascolto. La parola si fa in quest’opera equivoco continuo, diventa arma e tentativo di salvezza, strumento elusivo che dà spazio ad una realtà sfuggente e inafferrabile. L’orgoglio ferito e la difesa estrema del proprio onore conducono Otello verso una strada senza ritorno, dove è ormai chiusa la possibilità di un vero incontro con il proprio amore.
Note di regia
Il nostro Otello è ambientato in una palestra, un campo da basket in cui si svolge la partita di Iago e con lui, di tutti i personaggi e del Coro. Brabanzio è inglese ed entra in scena sui vecchi e scassati carrelli del sopravvitto dei detenuti, accanto a lui, una Desdemona dalla pelle bianca. Otello è marocchino, Iago albanese, il Coro un misto di razze e colori (Africa, Albania, Polonia, Romania, Brasile.. ). Di cosa parla l’Otello? Tantissime sono le trame che ogni volta si possono rintracciare in ogni opera shakespeariana, ma noi ci siamo concentrati soprattutto su una questione: perché un uomo come Otello si trova protagonista e artefice di un femminicidio? Cosa ne pensano i detenuti del carcere di Prato della violenza sulle donne? Ma soprattutto: cosa ne pensano i miei attori della violenza sulle donne? I miei attori che si lasciano dirigere da anni da una una regista donna. Mi diranno la verità? Mi diranno davvero quello che pensano? E io come farò a raccontarlo? Queste sono le domande che mi hanno accompagnata durante tutta la ricerca (ricerca che per il nostro modo stesso di procedere è ogni volta un processo senza fine di approfondimento e verifica). E poi c’era da raccontare la contro-parte, il femminile e il suo punto di vista. Come portarlo davvero in scena? Leggendo e rileggendo l’Otello shakespeariano mi risuonava sempre in testa il rumore del mare. Mi trovavo spesso a fermare i miei occhi sulle microscopiche didascalie “Venezia. Strada”, “Porto di mare a Cipro. Spiaggia presso la banchina”. L’ambientazione scelta dall’autore mi ha fatto sentire una fortissima esigenza d’acqua in scena. Questa esigenza è cresciuta sempre di più, quando ho sentito che l’acqua, in quanto elemento vitale che genera la vita e la mantiene, poteva essere femminile, poteva essere il femminile che avevo voglia di raccontare. E così Iago, alla fine di una partita a due, chiede ad Otello se l’acqua sia femmina o maschio… “Niente. Il mare è alle stelle. Tra cielo e mare non si scorge una vela”.
Livia Gionfrida
Recensioni
UNA ACERBA FELICITÀ
UNA ACERBA FELICITÀ
regia Livia Gionfrida
assistente regia Ilaria Cristini
scenografia Alice Mangano e Nicola Console
assistente di produzione Alessia Brodo
con le ragazze dell’IPM di Pontremoli
produzione Teatro Metropopolare con il sostegno della Regione Toscana
febbraio 2013 / produzione video animazione
maggio 2014 / installazione artistica e performance teatrale
HAMLET’S DREAM
HAMLET’S DREAM
regia e drammaturgia Livia Gionfrida
scene Nicola Console e Alice Mangano
collaborazione artistica Ilaria Cristini
assistenza artistica al progetto Marco Serafino Cecchi
con Giuseppe Bevilacqua, Sidney Blohoua, Alessia Brodo, Salvatore D’Avanzo, Ilaria Cristini, Marcello Di Paola, Ayoub Elmounim, Yang Gou Dong, Ervis Hibraj, Quemal Hoxha, Chan Hun Hoe, Marius Jarauleva, Luigi Perrotta, Baldassarre Rapicano, Giuseppe Rapicano, Amerigo Sarrecchia, Astrit Shira, Leonart Stafa, Domenico Tarantino, Vangel Zguri, Chen Zhin Aman
produzione Teatro Metropopolare con il sostegno Regione Toscana.
debutto
7 dicembre 2011
Casa Circondariale La Dogaia, Prato
MACBETTO
MACBETTO
regia Livia Gionfrida
scene Alice Mangano e Nicola Console
drammaturgia Livia Gionfrida e Marco Serafino Cecchi
collaborazione artistica Ilaria Cristini, Marco Serafino Cecchi
collaborazione al progetto Alessia Brodo
assistenti volontarie Valeria Betrò e Miriam Bet
con Alice Mangano, Nicola Console, Asad Asamis, Valeria Betrò, Alessia Brodo, Sandilijan Buzhala, Aman Chen Zhi, Ilaria Cristini, Luigi Cipparrone, Salvatore D’Avanzo, Vincenzo Festa, Ervis Hibraj, Cymature Oahms, Taref Omezzine, Luigi Perrotta, Farhat Selmi, Domenico Tarantino, Grzegorz Wojdylo.
produzione Teatro Metropopolare con il sostegno della Regione Toscana
in collaborazione con Teatro Metastasio-Stabile della Toscana
anno 2012
STUDIO SULL’ICONOGRAFIA DELLA FELICITÀ FEMMINILE
ERO CONTENTISSIMO
studio per una performance sull’iconografia della felicità femminile
regia Livia Gionfrida
assistente alla regia Marco Serafino Cecchi
drammaturgia Livia Gionfrida e Marco Serafino Cecchi
con Laura Meffe, Ilaria Cristini, Elisabetta Fischer, Valeria Betrò, Claudia Pinzauti, Chiara Luccianti, Emanuela Mascherini, Deborah La Mantia, Elisa Favi, Serena Altavilla, Simona Marotta, Alessia Brodo, Barbara Taddei, Andrea Galleni, Livia Maddaleno, Giorgia Massai, Marco Tizianel, Eva Chiorazzo, Giuditta Natali Elmi.
produzione Teatro Metropopolare
debutto
“LA CHIESA” E45 Fringe Napoli Teatro Festival (giugno 2010)
“LA PIAZZA” – Festival Santarcangelo 39 Immensa (giugno 2009), Festival Volterra OFF (luglio 2009)
“L’APPARTAMENTO” – Firenze (2010)
OTTO ORE NON FANNO UN GIORNO
OTTO ORE NON FANNO UN GIORNO
liberamente tratto da Sangue sul collo del gatto di Rainer Werner Fassbinder
drammaturgia e regia Livia Gionfrida
coreografie Deborah La Mantia
con Ilaria Cristini e i detenuti del Laboratorio Metropopolare della Dogaia
debutto
Casa Circondariale La Dogaia, Prato.
SE SI HA L’AMORE IN CORPO NON SERVE GIOCARE A FLIPPER
SE SI HA L’AMORE IN CORPO NON SERVE GIOCARE A FLIPPER
selezione Nuove Sensibilità 2008
drammaturgia e regia Livia Gionfrida
assistente alla regia Marco Serafino Cecchi
con Ilaria Cristini, Deborah La Mantia, Jean Paul del Monte, Chiara Luccianti, Simone Luglio, Andrea Dezi
produzione Teatro Metropopolare, con il sostegno della Provincia di Prato
studio
Teatro Nuovo, Napoli, giugno 2008
Festival Zoom, Teatro Studio di Scandicci, novembre 2008
Festa della Toscana, Prato, dicembre 2008
debutto
gennaio 2010
Teatro Magnolfi, Prato