STUDIO PER UN FINALE

regia Livia Gionfrida
assistente alla regia Giulia Aiazzi
con Robert da Ponte, Ayoub El Mounim, Rodrigo Romagnoli, Sofien Ghozlan

scenografie Alice Mangano
progetto grafico Laura Meffe
organizzazione Rebecca Polidori
produzione Teatro Metropopolare

in collaborazione con il Teatro Metastasio di Prato

con il sostegno di Regione Toscana e Comune di Prato

 

Studio per un finale è frutto di un lungo lavoro di studio e di confronto che Teatro Metropopolare sta conducendo sui temi della prigionia e della caduta. Attorno a queste parole chiave si sta concentrando il lavoro di ricerca teatrale del collettivo, con particolare attenzione ad alcuni autori del Novecento legati alla corrente definita dagli storici Teatro dell’Assurdo: Eugène Ionesco, Samuel Beckett, il primo Harold Pinter.Lo studio e l’analisi delle opere di Beckett, in particolare Finale di partita, vanno a costituire il nucleo centrale del percorso artistico. Il risultato di questo lavoro, scaturito dall’incontro delle biografie degli interpreti con le tematiche affrontate nei testi dell’autore irlandese, è una tragica riflessione sull’uomo e sulla morte.

 

Note di regia

L’anno prossimo faremo i nostri 10 anni di lavoro dentro il carcere maschile di Prato. Potrebbe essere considerato un traguardo viste le infinite e paradossali difficoltà che abbiamo affrontato in questi lunghi e produttivi anni. Avevamo bisogno di un autore che parlasse una lingua radicale, asciutta, chiara per tutti. Un autore che sapesse raccontare il limite fisico e mentale, imposto o scelto non ha importanza. Beckett sa parlare di barriere fisiche e psicologiche come nessun’altro. Nella sua scrittura, in quella cattiveria piena di vita, ci ho trovato tutto il sapore di questi 10 anni passati “dentro” quasi quotidianamente. Egli non racconta della burocrazia, della politica o delle incombenze superflue del vivere quotidiano, ma, più radicalmente, si concentra sull’esserci, sulle funzioni essenziali dell’essere in vita. Fare la pipì, mangiare, sognare, in una lotta costante carica di disperata vitalità, coltivando rapporti impari, in cui c’è sempre qualcuno che ha più potere di te, in una scala gerarchica che si allunga all’infinito, fino al cielo , abitato forse da un “Padre mio” , da una Natura che ci governa senza possibilità di appello. “Non c’è niente di più comico dell’infelicità”. Questa battuta ricorre spesso tra le stanze del carcere che ho abitato in questi anni. Ridere sopra un foglio in cui si notifica la tua carcerazione. Solo il teatro può fare questo. Non c’è niente che possa riabilitare quanto questo.

Livia Gionfrida

Category
prosa